Chi mi conosce sa che le contestazioni le ho fatte sempre a muso duro da praticante rischiando anche non poco.
Oggi mi trovo nella posizione opposta, da professionista che cerca di insegnare e di rispettare i più giovani.
Da anni sono tra i docenti SAF in Bocconi per il corso biennale serale per formare i nuovi commercialisti e revisori e da qualche mese sono nel CDA della Fondazione Dottori Commercialisti che gestisce la scuola.
La riforma delle professioni ha complicato in maniera folle la pratica professionale con il risultato che oggi i ragazzi non riescono più a capire come fare ad abilitarsi.
In sintesi e semplificando:
- ieri la pratica durava tre anni, valeva sia per diventare commercialista sia per diventare revisore legale, terminata la pratica un unico esame che se superato sanciva l'abilitazione.
- oggi la pratica da commercialista dura 18 mesi mentre quella da revisore 3 anni, non si capisce quando fare l'esame di stato, se ne basta uno, se ne servon due, ecc... gran confusione.
Sullo sfondo una norma poco chiara, la volontà di separare le due professioni (commercialista vs revisore) ed una scarsa attenzione ai giovani.
Oggi leggo su ItaliaOggi l'articolo di Cristina Bartelli (che vi invito a seguire su twitter @cribart ) che la ragioneria interpellata sul tema ha dato la seguente interpretazione in qualche modo avvallata dal modulo di iscrizione appena pubblicato:
- tre anni di pratica da revisore più esame
- superamento esame da dottore commercialista + ulteriori tre anni di pratica da revisore senza dove dare ulteriore esame.
L'interpretazione che l'articolo pare suggerire avallato dall'interpretazione della ragioneria del ministero è una gincana tra pratica commercialista (18 mesi) + esame di stato + pratica revisori (3 anni). Praticamente l'ergastolo.
Non mi è chiaro cosa avverrà dei ragazzi che stanno terminando la pratica in questi mesi e a cui va tutta la mia solidarietà. Quello che è certo è che non meritano tutto questo. Soprattutto credo non lo meritino come cittadini. La situazione è assolutamente vergognosa, vergognosa anche per chi l'ha resa possibile: legislatore, lobby professionali ecc... si può tollerare una norma chiara ma penalizzante, non si può tollerare una confusione di tale portata.
La mia interpretazione è più italiana, cambia tutto per non cambiare nulla.
La pratica fatta presso un commercialista e revisore legale (la quasi totalità dei professionisti somma in se entrambi i titoli) varrà sia per diventare commercialista sia per diventare revisore e si arriverà, nella pratica, a tre soluzioni:
- pratica di 18 mesi + esame a fine pratica = commercialista
- pratica di 3 anni + esame a fine pratica = commercialista e revisore
Questa ultima ovviamente sarà l'opzione gettonata dai più salvo ulteriori chiarimenti lasciando sostanzialmente inalterata la situazione ante riforma.
Restano da chiarire le posizioni intermedie alternative su cui si dibatte che possono in qualche modo avvantaggiare o penalizzare il praticante:
- pratica di 18 mesi + esame a fine pratica = commercialista + ulteriore pratica di 18 mesi (senza ulteriore esame) = revisore
- pratica di 18 mesi + esame a fine pratica = commercialista + ulteriore pratica di 3 anni senza ulteriore esame = revisore
La prima parrebbe la più ragionevole nonostante l'assurdità di un esame superato prima di terminare la pratica (un pò come laurearsi prima di finire l'università), la seconda è quella riportata dalla giornalista di ItaliaOggi sulla base dell'interpretazione della Ragioneria Generale dello Stato (nuova titolare del registro revisori) che ovviamente porterebbe a scoraggiare i ragazzi dal tentare l'esame appena terminata la pratica da commercialista.
Sono sincero, la soluzione prospettata dalla ragioneria pare più una soluzione di comodo per facilitare il conteggio dei 3 anni di pratica che altro.
Inoltre è una interpretazione a mio parere del tutto arbitraria a tutela dello status quo.
Mi auguro fortemente venga superata.
In tutto questo io mi chiedo la ratio di questa riforma:
- O la pratica serve, come credo, e la si valorizza (pagando i praticanti, insegnando e facendoli crescere, rispettandone la professionalità, eventualmente rafforzando il ruolo delle scuole post laurea)
- o la pratica non serve e allora la si elimini del tutto e si condizioni l'abilitazione al mero superamento dell'esame (con professionisti dotati di gran bagaglio teorico e nulla più).
- o si aboliscano ordini ed albi che rinasceranno sotto forma di associazioni sul modello anglosassone e porranno condizioni di accesso agli iscritti a tutela del marchio e della qualità.
Il cliente lo si tutela o con un marchio di qualità (gestito per legge da ordini professionali o volontariamente istituito da libere associazioni) o levando il marchio e lasciando a lui la scelta.
Se do un marchio qualità a prodotti scadenti, be, credetemi, questa è tra le tre la soluzione peggiore per il cliente.
Che il legislatore scelga, sono lecite tutte e tre le soluzioni. Posso condividerle o meno ma hanno tutte una loro dignità. Vergognoso è solo non scegliere.
PS per i più liberisti ricordo, anche per far chiarezza, le mie posizioni sull'abolizione o meno dell'ordine, e che i commercialisti non hanno sostanzialmente riserve di legge.
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