lunedì 1 aprile 2013

Se me lo dicevi prima...

Eh, eh, eh, ma se me lo dicevi prima
Eh, se me lo dicevi prima
Come prima
Ma sì se me lo dicevi prima
Ma prima quando
Ma prima no
Eh, si prendono dei contatti
Faccio una telefonata al limite faccio un leasing
Se me lo dicevi prima...


Enzo Jannacci

Se me lo dicevi prima....  mi preparavo meglio.
Se me lo dicevi prima Milano si organizzava. Mica uno se ne può andare via cosi durante le feste, che siamo tutti via a sciare, tutti tranne me che ho il piccolo con l'influenza e sono restato a casa.

Che poi i ricordi si mischiano, si sovrappongono e li scopri simili ad altri amici che restano rapiti dalle emozioni pensando a persone che non ci sono più.

Jannacci anche io l'ho scoperto cosi, poco convinto ascoltandolo insieme a mio padre mentre la tata mi cantava "vengo anche io, no tu no!" che credevo fosse una canzone per bambini.

Ma già da allora capivo che c'era qualcosa di più, che mio padre mi invitava a cercar di capire anche se sapeva che ero troppo piccolo.

Poi per diverso tempo è sparito. Ci siamo ritrovati al Bolgia Umana, io studente squattrinato ma fiducioso nel sicuro futuro successo, come si usava a Milano nei primi anni 90, una Milano veloce che non capiva ma cresceva e consumava felice.

E lì lui era sempre fuori posto. Era sempre fuori moda. 

Con quel locale che racchiudeva tutte le sue contraddizioni, quel locale che doveva essere una scuola per futuri cabarettisti, quel locale aperto a tutti (e che chiuse velocemente), come le osterie che cantava nelle sue canzoni ma che se ci portavi una ragazza ti toccava fare un leasing tanto era caro.

Io li sicuro dei miei 20 anni, lui che il successo l'aveva già avuto triste ed insoddisfatto.

Lui a fare il sinistro vestito da paninaro, sempre mezzo brillo, coccolato dal figlio che lo accompagnava al piano. Sembrava si fossero scambiati i ruoli, lui cosi fragile ed il figlio che lo guardava rassicurante ed orgoglioso, quasi ad incoraggiarlo, come faceva mia madre con me ai saggi alle elementari quando timoroso salivo sul palco del teatro delle suore per recitare il mio piccolo ruolo da protagonista.

Con quella tristezza cosi lontana dai sorrisi aperti e solari della mia tata, pugliese come lui, mentre fischiettava vengo anche io no tu no....

E poi la riscoperta vera, allegra, ricordando le canzoni e dimenticando un pò l'artista. 

In barca con gli amici, milanesi contro napoletani, c'era sempre lui ed il palo dell'ortica a farla da padrone (anche se poi il cd di murolo lo portavo io ;-).

Come al mio matrimonio in sottofondo, durante l'aperitivo, insieme ad Arigliano e Buscaglione.

Mai capito fino in fondo, e lo sapeva.

Amato da quella borghesia di cui forse non si sentiva figlio ma a cui desiderava appartenere. Sempre a metà tra il medico e l'artista, tra il borghese e l'emarginato.

Eppure quanto è bello pensare a quel gruppo di amici, a Gaber, a Cochi e Renato.

Quanto è bello ricordare che Milano è stata lavoro, professioni ma anche arte, poesia e canzoni.

Quanto manca tutto questo proprio oggi che di lavoro ce n'è meno.

E' che a Milano proprio non puoi chiedere di decrescere, Milano è felice di lavorare e di far poesia, nascondendosi un pò, con pudore e riservatezza. mai con vergogna.

Milano che forse, me ne rendo conto ora, non gli ha mai perdonato quella malinconia, quel non scegliere il posto ed ruolo da giocare, quella Milano che ha bisogno di capire chiaro chi sei, di capirlo subito, perchè qui si corre veloce.

E poi Milano che quando apprende la notizia si mette a cantare in osteria per ricordare....

E poi in rete trovi i racconti dei suoi di amici, di quelli veri e ti commuovi un pò... anche se non sei mai riuscito a capirlo fino in fondo... 

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