
Dall'analisi degli organi amministrativi emergono due modelli molto differenti. Da un lato, la presenza di amministratrici che hanno legami familiari con l'azionista di riferimento è più frequente in società di minore dimensione, a proprietà concentrata e operanti nel settore dei consumi. Dall'altro, amministratrici non legate all'azionista di controllo siedono nei board di società a proprietà diffusa o estera, operanti nei settori dell'information technology o delle telecomunicazioni e caratterizzate da amministratori più indipendenti e mediamente più giovani.
L'analisi approfondisce l'esistenza di eventuali relazioni tra presenza femminile e alcune misure di performance e buona governance delle società. Mentre non sembra emergere alcuna relazione statisticamente significativa quanto alle prime, il legame tra presenza di amministratrici e alcune semplici proxy di buon funzionamento del board è negativo.
L'analisi svolta a mio parere dimostra soltanto che non basta imporre il politicamente corretto, bisogna fare molta attenzione alla sua applicazione.
Da sempre contrario alle quote rosa credendo nel merito e non nel genere come criterio di selezione mi chiedo perchè almeno non proviamo a coniugare la normativa sulle quote rosa di prossima applicazione innestandola sulle figure degli amministratori dipendenti e degli organi di controllo.
La proprietà (gli azionisti) potranno continuare a decidere in tutta libertà da chi farsi amministrare. Se amministratore donna deve esserci sia almeno amministratore indipendente con curriculum appropriato (docente universitario, manager con esperienza mutlinazionale, professionista, ecc..) e non legato in alcun modo alla famiglia dell'azionista di maggioranza.
In questo modo aiuteremmo anche a definire la figura dell'amministratore indipendente che forse è meritevole di ben altra tutela.
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