domenica 25 maggio 2014

Non saranno 80 euro a fornir le legioni per salvare l'Impero.

Dove ci siamo persi?

Difficilmente ricordo una campagna elettorale tanto triste e senza prospettive.

Certo nel 94 avevo la sensazione che si fosse persa una grande occasione, che la vecchia borghesia ancora una volta non riuscisse ad avere il coraggio di imporsi ed imporre i propri valori.
Allora però nonostante la grande sconfitta di quel mondo legato a Montanelli ed alla Voce c'era anche la consapevolezza che non saremmo comunque stati capaci di essere alternativa. 

Non esprimevamo a differenza degli avversari alcuna capacità organizzativa.

E poi forse qualcuno diceva che lui qualcosa avrebbe dato al Paese, portando quel cambiamento tanto auspicato. Ma lo sapevamo, lo sapevamo che non sarebbe stato lui la soluzione e rileggendo gli ultimi editoriali ci sentimmo tremendamente soli ed inadeguati. Erano i miei 20 anni.

Oggi lo stesso spaesamento, la stessa incapacità di cogliere l'occasione, la frustrazione di non vedere neanche il lontananza le vecchie bandiere, un tempo logore, oggi assenti di una borghesia che forse non è' mai esistita.

E non e' solo politica, la stessa aria la respiri nelle associazioni di categoria, in quella così sopravvalutata società civile che in realtà rappresenta solo seconde e terze file in attesa di esser richiamate dalla panchina,

Purtroppo solo una cosa e' diversa. Il Paese non cresce e non crescerà.

Se un tempo ci si poteva illudere di farcela da soli senza sporcarsi le mani oggi si avverte il freno a mano tirato dalla politica e dalla burocrazia statale.

Se un tempo la salvezza era restare nel mondo libero, oggi questo appare stanco, invecchiato, appesantito dalle prebende elargite agli avversari per domarli.

Come Roma non sconfisse mai definitivamente i barbari ma sopravvisse per secoli finché riuscì a comprarli, oggi una burocrazia pubblica ma anche privata (professioni comprese sia ben chiaro) sta fagocitando una democrazia solo formale.

Siamo al sacco di Roma da cui solo la burocrazia si salvo', perché anche i barbari, preso il potere avevano bisogno di lei per governare ed esigere le imposte.

Non è la rivoluzione francese quello a cui stiamo assistendo ma alla dissoluzione di un impero troppo costoso per rimpiangerlo. E siamo qui ad assistere ormai assuefatti senza neanche poter sperare in quelle energie che una rivoluzione libera dopo gli anni bui.

In attesa che un'altra e costosa burocrazia, quella europea, decida per noi.

Il problema siatene pur certi è' culturale non politico. 

Stiamo lasciando sole le imprese, stiamo rallentando ed esasperando gli innovatori.
Stiamo abituandoci all'idea che in carestia solo Roma può dare il pane.

Ma non saranno 80 euro a fornire le legioni per salvare Ravenna.

martedì 20 maggio 2014

Un Paese di terzisti che si credevano imprenditori

Credo che sia venuto il momento di riflettere sulle cause di questa crisi che sembra essere senza via d'uscita.

Purtroppo per anni ci siamo vantati di essere un Paese ad imprenditorialità diffusa.

Grandi talenti, gran voglia di lavorare, gran voglia di farcela mettendosi in proprio, questi i vanti delle italiche genti cantate da menestrelli, ISTAT e professori universitari.

In parte è vero, il genio italico ha fatto molto, ma se vogliamo dircela tutta molti fattori spingevano verso l'apertura di nuove imprese (non a caso spesso incentivate dal vecchio datore di lavoro):

  • il limite dei 15 dipendenti;
  • il fatto che aprire una partita iva o esser socio di società costasse meno (soprattutto in passato) in termini contributivi rispetto ad esser lavoratore dipendente;
  • ricordiamo poi che imprenditori e partite iva fatturano a prodotto/servizio e non a ore (chi lavora in proprio provi velocemente a fare il conto dei propri straordinari...);
  • la possibilità di evadere il fisco;
  • certamente la voglia di fare e di costruire la propria impresa.

Nulla contava di più del saper lavorare in fabbrica
Per molti anni ciò che veniva richiesto ad un imprenditore era di saper produrre. 
Finanza, mktg, lingue straniere... nulla contava di più del saper lavorare in fabbrica e delle ore che passavi con i tuoi operai.

Poi improvvisamente l'euro, la cina, internet e ancora gli arabi, Dubai, l'innovazione.
Ma non era cosi grave, certo le imprese non andavano più come un tempo ma gli immobili volavano, la borsa tirava e la famiglia di certo non si impoveriva.

E se in azienda si iniziava ad avere il fiato corto, be nessun problema, un giorno si e l'altro pure le banche chiamavano per offrire soldi a tassi bassi. In fin dei conti aumentano i debiti ma la cassa è sempre piena, la crisi prima o poi passerà e se le banche son le prime a credere nella mia impresa che problema c'è?

Tutto bene signor comandante!
Tutto bene fino alla crisi finanziaria, le banche si svegliano, tirano i cordoni della borsa ed improvvisamente tutto quello che non funziona emerge immediatamente.
In pochi anni pretendiamo dal nostro imprenditore che conosca le lingue, che capisca che internazionalizzazione è cosa diversa che esportare, che si confronti con ottimi prodotti provenienti dall'estero a prezzi più bassi, molto piu bassi...

Improvvisamente si sommano diversi fattori:

  • le imprese sono vecchie e fuori mercato
  • stretta del credito
  • debiti derivanti da anni di perdite subite senza mai cambiare (tanto c'è la banca)
  • immobili crollano e non si vendono più (neanche le banche li vogliono, eppure li amavano tanto...)
  • lo Stato ha fame.

E si, lo Stato ha fame.
Perchè se non fai utili, non paghi le tasse, e lo Stato ha fame, sempre più fame.
Ora che immobili e borsa non rendono più come prima (anche se la borsa continua ad illudersi e ad illuderci) ci tocca lavorare per vivere e scopriamo che non ci sono infrastrutture, che manca la banda, che i treni sono lenti, che il sud è irraggiungibile, che Trieste patria delle Generali è irraggiungibile!

Troppi discorsi da bar sul made in Italy
Ed in Italia si smette di comprare o comunque si è più attenti, troppi discorsi da bar sul made in Italy, che se non si trasforma in qualità percepita non serve a nulla, freghi solo i russi e temo ancora per poco.

E nessuno prova a riflettere su cosa sia davvero il made in Italy, che non è solo produrre in Italia a prezzo doppio. Il caro non sempre è lusso. E se non si trasforma in margini poi ...

Per placar gli animi per fortuna che ci son le startup
Che poi in molti casi non sono altro che le vecchie partite iva. E' un fenomeno importante ma che va depurato da illusioni, interessi particolari di sponsor e consulenti, ecc.
Hanno tutti criticato Briatore per il suo intervento in Bocconi ma nessuno ha sottolineato una grande verità che è stata detta. 

Una impresa deve far utili. 
E a dirlo non è solo Briatore. Ricordo, ancora studiavo, una domanda fatta a Henry Kissinger ad un convegno sempre in Bocconi. Ai tempi andava molto di moda il tema della responsabilità sociale dell'impresa. 
Lui rispose molto secco: il primo dovere di una impresa è quello di far utili, pagare gli stipendi ai dipendenti e remunerare gli azionisti. 

Ma non voglio chiudere queste riflessioni senza una nota di ottimismo, proviamo a capir le cause, smettiamo di combattere finti problemi, questo Paese ha energie e risorse per risollevarsi, la cultura imprenditoriale sta crescendo molto (merito anche del fenomeno startup e dei mille convegni), alto artigianato, turismo, eccellenze industriali sono ciò che dobbiamo valorizzare per ripartire.

E poi le univerisità, si sono finalmente aperte alle imprese, molto devono ancora fare per aiutarci a far sistema e diffondere innovazione ma questa apertura è una risorsa straordinaria che va incoraggiata, sviluppata.

Incontro tutti i giorni imprenditori che stan crescendo, che sopportano mille fatiche, che han dovuto ribaltare completamente la loro impresa ma che stan crescendo.

Io continuo ad aver fiducia ma il primo passo per risolvere un problema è conoscerne le cause e su questo il dibattito è ancora molto latente.


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mercoledì 14 maggio 2014

Eataly, cosa invidio nel low cost di qualità.

Domenica scorsa ho pranzato da Eataly nei nuovi spazi dell'ex Smeraldo, a Milano.

Ne ho già parlato in questo blog, l'operazione mi mette allegria. Probabilmente non è esattamente il posto che fa per me, non impazzisco per Farinetti, ma è un gran bel progetto.

C'ero già stato a Bologna, una bella location, mangi discretamente (raccontano meglio di come cucinano, ma non cucinano affatto male) orari comodi (aperto anche la sera fino a mezzanotte credo). Prezzi discreti, altissimi solo se vuoi.

Un gran successo di critica e di pubblico, sempre pieno, un po caotico forse ma in un periodo di crisi come questo viva il caos.

Il ristorante si basa su pochi piatti con buon rapporto qualità/prezzo.

Il supermercato segue un pò la tecnica IKEA, molti prodotti a prezzi bassi che compri e neanche te ne accorgi (e forse senza che ti servano realmente) ed altrettanti prodotti ben più costosi ma con la promessa (realtà o fantasia non so dire) di elevata qualità.

Quello che però devo riconoscere ad Eataly è:

  • allegria, e non è poco;
  • buon rapporto qualità prezzo;
  • personale motivato, circa 200 ragazzi assunti con speranze di carriera in una realtà che cresce parecchio;
  • personale che vuole imparare (un pò mi ripeto ma è importante, son bravi a motivarli);
  • un low cost che non vuol dire prezzo basso ma qualità a buon prezzo, che è cosa differente (low cost è argomento già trattato ed a cui vi rimando).
Non è poco e questo spiega il successo. Tutta la filosofia pseudo veltroniana che ci sta dietro poi non fa per me e la trovo un pò retorica (quel giusto mix di comunismo in Porsche...)


Nel personale ho ritrovato, nel paradosso, un pò di quell'entusiasmo aziendale della prima Forza Italia, quella che pareva poter diventare un ascensore sociale per molti partecipanti...

Ma qui forse sto divagando e non voglio togliere nulla all'operazione imprenditoriale che resta un gran bel progetto (poi io di sogni mi tengo i miei ma questa è un'altra storia).

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